Se il docente titolare rientra in servizio dopo il 30 aprile, ma è stato assente almeno 150 giorni, il supplente ha diritto a proseguire il servizio fino agli scrutini finali. Ecco cosa dice la normativa

Ogni anno scolastico porta con sé casi particolari legati a sostituzioni, rientri, proroghe e assegnazioni. Ma su un punto la normativa contrattuale è chiara: dopo il 30 aprile, a certe condizioni, il supplente resta in classe fino agli scrutini finali, anche se il titolare rientra in servizio. Una disposizione pensata per tutelare la continuità didattica, riconosciuta come valore imprescindibile in tutte le tipologie di insegnamento: dal sostegno alle discipline curricolari, in ogni ordine e grado di scuola.


L’articolo 37 del CCNL: continuità prima di tutto

La norma di riferimento è l’articolo 37 del CCNL 2006-2009, ancora in vigore per quanto non modificato dai contratti successivi (CCNL 2016/18 e 2019/21).
Questo articolo stabilisce che, se un docente titolare è stato assente per almeno 150 giorni continuativi nell’anno scolastico (o 90 se si tratta di una classe terminale) e rientra dopo il 30 aprile, non riprende servizio in classe. Viene impiegato in altre mansioni all’interno della scuola, mentre il supplente che lo ha sostituito prosegue l’attività didattica fino agli scrutini e, se previsti, agli esami finali (diversi dalla maturità).

È una norma che vale per tutti i docenti, senza distinzioni: posto di sostegno, posto comune, classi di concorso specifiche. L’unico criterio è la continuità: ciò che conta è garantire agli alunni un punto di riferimento stabile nella fase finale dell’anno.


Supplenze brevi, spezzoni e assenze parziali: cosa succede?

Molti si chiedono se questa tutela valga anche per chi ha lavorato solo su uno spezzone orario o ha sostituito un titolare in presenza parziale, ad esempio nei casi di congedi parentali o rientri ad orario ridotto.

Un recente caso di cronaca sindacale riguarda proprio una supplente su sostegno che, da ottobre, copre 5 ore settimanali su 9 di un alunno con disabilità. Il contratto stava per scadere e l’istituto sosteneva che non spettasse proroga, poiché la titolare aveva seguito l’alunno per le restanti ore.

In realtà, il diritto alla continuità si applica anche in questi casi. La norma non distingue tra cattedre intere o spezzoni. Il supplente che ha assicurato una parte significativa della presenza educativa — purché senza interruzioni — va mantenuto in servizio fino alla fine delle lezioni, al fine di non spezzare il percorso dell’alunno.

Questo principio è valido anche per chi sostituisce docenti su materie curricolari: matematica, lettere, scienze, lingue ecc. Anche se si tratta di una supplenza a 6, 9 o 12 ore, e anche se il titolare rientra in servizio, il supplente non deve lasciare la classe se ricorrono le condizioni previste dal contratto.


Quando scatta il diritto alla proroga?

Tre sono le condizioni fondamentali che devono verificarsi affinché il supplente abbia diritto alla proroga:

  1. Assenza continuativa del docente titolare per almeno:

    • 150 giorni (in generale);

    • 90 giorni se si tratta di classi terminali (es. classi quinte della scuola superiore o terze della secondaria di primo grado).

  2. Rientro in servizio del titolare dopo il 30 aprile.

  3. Presenza continuativa del supplente, senza interruzioni significative, fatta eccezione per i periodi di sospensione dell’attività didattica (vacanze di Natale, Pasqua, ecc.), che sono comunque conteggiati ai fini del calcolo.

Non è necessario che il titolare abbia formalizzato ogni periodo di assenza con certificazioni continue: ciò che conta è la sua assenza effettiva dalla classe, come chiarito anche dall’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni).


Il ruolo del dirigente scolastico e delle segreterie

Una volta accertato che il titolare ha superato i 150 (o 90) giorni e rientra dopo il 30 aprile, la scuola deve attivare la proroga del supplente.
Il docente titolare, invece, viene impiegato in compiti alternativi, come:

  • sostituzioni di colleghi temporaneamente assenti;

  • attività di recupero o potenziamento;

  • collaborazione con lo staff organizzativo dell’istituto.

Le segreterie devono quindi gestire con attenzione il conteggio dei giorni e, se necessario, consultare le RSU o i referenti sindacali per evitare errori nell’applicazione della norma.


Continuità didattica: un valore riconosciuto anche dalla legge

La continuità didattica non è soltanto un principio contrattuale: è anche un diritto educativo sancito dalla normativa scolastica. La Legge 104/1992 parla chiaramente di stabilità nei percorsi di inclusione, ma il principio vale anche per tutti gli alunni, specialmente nei passaggi delicati come la fine dell’anno o gli esami.

Le linee guida sull’inclusione, così come i documenti di indirizzo ministeriali, insistono sul valore della relazione educativa e sulla necessità di non frammentare l’insegnamento. In questo senso, l’articolo 37 rappresenta un esempio virtuoso di come il contratto collettivo possa essere strumento di tutela per alunni e docenti.

Chi ha sostituito un collega assente per molti mesi ha costruito con la classe un legame educativo importante, che va preservato. Il rientro del titolare dopo il 30 aprile non può spezzare questo percorso, e il contratto collettivo lo tutela espressamente.

Che si tratti di sostegno o posto comune, che il servizio sia stato su cattedra intera o spezzone, la regola non cambia: continuità prima di tutto.

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