Dal docente di sostegno al “docente per l’inclusione”. Ma si tratta solo di un cambio di nome o di un cambiamento strutturale nel sistema scolastico italiano?

Una nuova figura o solo un nuovo nome?

È iniziato alla Camera dei Deputati, nella VII Commissione Cultura, l’esame della proposta di legge n. 2303 a firma Lega, che punta a sostituire la qualifica di “docente di sostegno” con quella di “docente per l’inclusione”. L’obiettivo dichiarato è valorizzare il ruolo di questi insegnanti, non più visti solo come supporto agli alunni con disabilità, ma come promotori di pratiche didattiche inclusive per tutta la classe. La proposta si inserisce in un quadro di riforme ispirate ai principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con la legge n. 18 del 3 marzo 2009.

Il cambio terminologico, però, ha sollevato numerosi interrogativi. È davvero solo una questione di parole? Oppure nasconde implicazioni più profonde, che rischiano di modificare equilibri già precari all’interno del sistema scolastico?

L’inclusione è di tutti, non di uno solo

Uno dei rischi principali sollevati dagli esperti riguarda l’effetto culturale della proposta: chiamare un solo docente “per l’inclusione” potrebbe far credere che tale responsabilità ricada esclusivamente su di lui, esonerando gli altri insegnanti da un compito che, invece, deve essere collegiale. La legge 104/1992 parla chiaramente di “docenti specializzati per le attività di sostegno”, ma non li separa dal contesto dell’intera comunità scolastica, che resta corresponsabile del progetto educativo. Introdurre una figura apparentemente dedicata all’inclusione rischia di rafforzare pratiche di delega già diffuse, che isolano il docente di sostegno e, di riflesso, l’alunno con disabilità. In tal senso, la proposta di legge potrebbe generare confusione normativa e operativa, sovrapponendosi alle definizioni già presenti nel nostro ordinamento senza un coordinamento coerente.

Inclusione senza investimenti? Le criticità della proposta

Dal punto di vista pratico, la proposta di legge non prevede nuove risorse. L’articolo 2 specifica la cosiddetta clausola di invarianza finanziaria, secondo la quale l’attuazione della riforma dovrà avvenire senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Questo significa che non ci sarà un aumento di organico né investimenti dedicati. L’intento è dichiaratamente culturale e simbolico.

Tuttavia, una riforma dell’inclusione scolastica non può prescindere dal rafforzamento strutturale del sistema. Secondo i dati più recenti, in Italia vi sono circa 122.000 insegnanti di sostegno, ma una larga parte è costituita da precari, molti dei quali non in possesso della specializzazione. La carenza di personale qualificato, in particolare al Nord, e l’ampio utilizzo dell’organico di fatto impediscono la continuità didattica e compromettono l’efficacia degli interventi personalizzati.

In questo contesto, un cambiamento formale rischia di distogliere l’attenzione dalle vere emergenze del settore: la stabilizzazione dei docenti specializzati, la trasformazione dell’organico di fatto in organico di diritto e la formazione iniziale obbligatoria per tutti i futuri insegnanti, anche curricolari, sui temi dell’inclusione.

Tra frammentazione e “separazione statutaria”

La proposta della Lega non è un caso isolato. Si inserisce in una traiettoria normativa più ampia che tende a rafforzare la distinzione tra docenti curricolari e docenti di sostegno. Provvedimenti recenti come il Decreto-Legge 71/2024 hanno introdotto la possibilità per le famiglie di richiedere la conferma del docente di sostegno da un anno all’altro, trasformandolo quasi in una figura di accompagnamento personale più che di mediatore didattico. Anche l’ipotesi, avanzata da alcune associazioni, di creare una classe di concorso separata per il sostegno, rafforza questa divisione. Si tratta di una visione che si allontana dal principio di inclusione come responsabilità condivisa, orientandosi piuttosto verso una specializzazione isolata che rischia di generare percorsi scolastici paralleli per gli alunni con disabilità.

Cattedra mista e formazione comune: i modelli alternativi

Per promuovere una vera inclusione, alcuni esperti e associazioni del settore propongono modelli alternativi. Uno dei più interessanti è quello della “cattedra inclusiva” o “cattedra mista”, già in sperimentazione presso alcune scuole grazie a un progetto dell’Università del Molise. In questo modello, un insegnante può svolgere sia ore di disciplina sia ore di sostegno nella stessa classe, favorendo una conoscenza più approfondita degli alunni, una migliore coesione tra colleghi e una maggiore continuità educativa. Parallelamente, si sottolinea la necessità di una formazione iniziale obbligatoria per tutti i docenti, che integri le competenze pedagogiche e metodologiche sull’inclusione già nei percorsi universitari. È inaccettabile che, a più di cinquant’anni dall’avvio dell’integrazione scolastica, un insegnante possa entrare in classe senza strumenti adeguati per affrontare la diversità.

L’inclusione non è gratuita

La proposta più radicale, ma coerente, è quella di trasformare tutti i docenti in “docenti per l’inclusione”, adottando strategie didattiche universali come prassi ordinaria e non straordinaria. Ciò comporterebbe l’assunzione a tempo indeterminato di oltre 100.000 docenti di sostegno specializzati, eliminando la precarietà che mina l’efficacia del sistema. Una riforma di tale portata non può essere realizzata “a costo zero”. La clausola di invarianza finanziaria contenuta nella proposta della Lega appare, in tal senso, una contraddizione in termini: senza risorse, l’inclusione rischia di restare un principio nobile ma irrealizzato.

Inclusione a parole o nei fatti?

L’introduzione della qualifica di “docente per l’inclusionerappresenta certamente un tentativo di ripensare il ruolo degli insegnanti che operano al fianco degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali. Ma senza un investimento reale in formazione, stabilizzazione del personale e riorganizzazione didattica, il rischio è che si tratti solo di un’operazione cosmetica. Il sistema scolastico italiano ha bisogno di inclusione autentica, non di nuove etichette. Una scuola realmente inclusiva si costruisce con docenti preparati, continuità didattica, corresponsabilità educativa e risorse adeguate. Il dibattito è aperto, ma una cosa è certa: l’inclusione non può essere affidata a un solo docente, né realizzata senza un progetto di sistema.

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