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Un incentivo che promette buste paga più alte per chi resta in servizio oltre l’età pensionabile, ma con conseguenze poco raccontate sulla futura pensione.
Dal 1° gennaio 2025 è entrato in vigore il cosiddetto “Bonus Giorgetti”, introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024). Una misura pensata per trattenere al lavoro chi avrebbe già i requisiti per la pensione, restituendo in busta paga la quota di contributi previdenziali a carico del dipendente.
Una novità che riguarda da vicino anche i lavoratori della scuola – docenti e ATA – già provati da stipendi bassi e carriere spesso logoranti.
Ma davvero si tratta di un vantaggio?
Come funziona il Bonus
Il meccanismo è semplice: chi ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata o ordinaria può scegliere di restare in servizio e ricevere in busta paga l’8,80% della propria retribuzione lorda, netto e non tassato.
Per un collaboratore scolastico con stipendio medio di 1.400 euro netti, significa circa 120 euro in più al mese. Per un docente con 2.000 euro netti, l’aumento può superare i 170 euro.
I limiti e le ombre
Dietro la promessa di uno stipendio più alto, però, si nascondono criticità:
- Il MIM continuerà a versare la sua parte di contribuzione, ma quella del dipendente verrà meno. Questo significa che il montante contributivo crescerà più lentamente, con una pensione futura inevitabilmente più bassa.
- La norma non è universale: il trattenimento in servizio è possibile solo entro il 10% delle facoltà assunzionali, e riservato a chi riceve valutazioni “eccellenti”. Un meccanismo che rischia di trasformarsi in una selezione discrezionale, poco trasparente.
- Per la scuola, dove già si fatica a garantire continuità didattica e amministrativa, trattenere pochi lavoratori fino a 70 anni non risolve il problema strutturale della carenza di organico.
Il paradosso con il precariato scolastico
C’è poi un’altra contraddizione che merita attenzione. Da un lato lo Stato chiede a docenti e ATA prossimi alla pensione di restare in servizio fino a 70 anni; dall’altro continua a lasciare in una condizione di precarietà centinaia di migliaia di lavoratori della scuola che da anni attendono stabilizzazione.
Forse, più che varare incentivi per trattenere i più anziani, la legge davvero necessaria sarebbe stata quella che riconosce l’usura lavorativa di alcune professioni – come i docenti della scuola dell’infanzia e primaria, o il personale ATA impiegato in mansioni gravose – prevedendo canali di uscita anticipata dignitosi.
Pensare che un collaboratore scolastico, spesso con compiti fisici pesanti, o un’insegnante di infanzia, sottoposta per decenni a stress psicofisico continuo, possano lavorare serenamente fino a 70 anni appare irrealistico.
In questo senso, il “Bonus Giorgetti” rischia di ribaltare la logica: invece di tutelare chi ha già dato tanto, finisce per trasformare un diritto – la pensione – in una rinuncia.
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