Tutte le regole dopo la Legge 183/2010, il D.Lgs. 165/2001 e i chiarimenti della Funzione Pubblica
Il quadro normativo per i dipendenti pubblici che intendono sospendere il servizio per avviare attività professionali o imprenditoriali si è arricchito negli ultimi anni di importanti novità, prima fra tutte l’introduzione dell’articolo 18 della Legge 4 novembre 2010, n. 183, noto come “Collegato lavoro”.
Il nuovo articolo 18: fino a tre anni per avviare un’attività
Il punto di partenza è l’art. 18 della Legge 183/2010, come aggiornato al giugno 2023.
La norma stabilisce che i dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, per un periodo massimo di trentasei mesi, rinnovabile una sola volta, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali.
Rispetto al testo originario, che limitava questa possibilità a 12 mesi rinnovabili una volta, l’estensione a tre anni (raddoppiabile) rappresenta un notevole passo avanti verso forme di flessibilità occupazionale.
Esempio pratico: un docente di scuola secondaria assunto a tempo indeterminato può chiedere di sospendere il proprio servizio per avviare uno studio professionale o una piccola impresa, conservando però il posto di lavoro nella Pubblica Amministrazione per un massimo di 6 anni (3 anni rinnovabili una volta).
Chi concede l’aspettativa e quali condizioni servono
L’aspettativa viene concessa dal dirigente scolastico o dall’amministrazione di riferimento, dopo aver esaminato la documentazione presentata dall’interessato.
L’amministrazione può negare la richiesta solo per motivate esigenze organizzative, principio ribadito più volte anche dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. 29 gennaio 2003, n. 444).
Il nodo delle incompatibilità: l’eccezione dell’articolo 18
Il comma 2 dell’art. 18 stabilisce una deroga esplicita: “Nel periodo di aspettativa non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all’art. 53 del D.Lgs. 165/2001”.
Significa che, per il periodo coperto da questa aspettativa speciale, il dipendente pubblico può svolgere attività normalmente incompatibili (lavoro autonomo, imprenditoriale o subordinato) senza infrangere le regole generali di esclusività previste dal Testo Unico del Pubblico Impiego.
Tuttavia, resta fermo quanto previsto dall’articolo 23-bis del D.Lgs. 165/2001, che regola l’aspettativa per lavorare in altre amministrazioni pubbliche o enti privati, con limiti diversi e vincoli più restrittivi in materia di rapporto di lavoro subordinato.
Articolo 53 D.Lgs. 165/2001: cosa è previsto sulle incompatibilità
In linea generale, l’articolo 53 vieta ai dipendenti pubblici di svolgere incarichi retribuiti non conferiti o non autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.
Questo divieto discende dagli articoli 60 e seguenti del DPR 10 gennaio 1957, n. 3, integrati da norme speciali (ad es. l’articolo 508 del D.Lgs. 297/1994 per i docenti).
L’articolo disciplina:
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le modalità di autorizzazione degli incarichi esterni (commi 7-10),
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le sanzioni per mancata autorizzazione,
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l’obbligo di riversamento dei compensi non dovuti all’ente pubblico (comma 7-bis),
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l’obbligo di comunicazione alla Funzione Pubblica per tracciabilità e trasparenza (commi 12-14).
Inoltre, resta vietato conferire incarichi di direzione del personale a soggetti che abbiano rivestito incarichi politici o sindacali negli ultimi due anni (art. 53, comma 1-bis).
La regola resta: incarichi solo se compatibili
Fuori dall’ipotesi speciale dell’art. 18 della Legge 183/2010, il regime di incompatibilità si applica integralmente.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con pareri costanti (ad es. Parere FP 0004634 P-4.17.1 del 21 gennaio 2015), ha ribadito che:
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non sono ammissibili attività di lavoro autonomo o subordinato parallele all’impiego pubblico, salvo deroghe tassative;
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l’autorizzazione è obbligatoria per tutti gli incarichi retribuiti non previsti dai compiti d’ufficio.
Giurisprudenza e controlli
La giurisprudenza conferma la rigidità del quadro:
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la Corte dei Conti sanziona chi omette il riversamento di compensi non autorizzati (responsabilità erariale),
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il Consiglio di Stato sottolinea che l’autorizzazione è discrezionale e vincolata a ragioni di buon andamento e imparzialità (Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2011, n. 3732).
In caso di violazioni, oltre alla restituzione dei compensi, possono scattare sanzioni disciplinari e penali.
Differenze con l’art. 23-bis
Se il dipendente pubblico intende svolgere attività in altre amministrazioni pubbliche, si applica l’art. 23-bis D.Lgs. 165/2001, che prevede (leggi il nostro articolo):
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nessun limite di durata per aspettativa verso enti pubblici,
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limite massimo di 5 anni, rinnovabile una volta, per attività presso soggetti privati,
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permanenza del regime di incompatibilità ordinario fuori dall’ipotesi di aspettativa.
Conclusione: opportunità e regole da non dimenticare
L’articolo 18 della Legge 183/2010 ha aperto una porta significativa per i dipendenti pubblici che vogliano esplorare esperienze imprenditoriali o professionali senza perdere il posto.
Ma, fuori da questa finestra temporale e regolamentata, il principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego resta saldo.
Chi intende muoversi in questo spazio deve conoscere limiti, obblighi di autorizzazione e le conseguenze di un passo falso.
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