Dopo oltre vent’anni di riforme, la scuola dell’autonomia mostra segni evidenti di crisi.

Progetti frammentati e perdita dei saperi disciplinari hanno contribuito, secondo molte analisi, a un calo generalizzato della preparazione degli studenti. È tempo di ripensare i il modello, restituendo centralità all’insegnamento.

«Dobbiamo sottrarre l’inutile e aumentare l’utile: oggi si premia chi fa altro rispetto all’insegnamento», denuncia Libero Tassella di Scuola Bene Comune.

Lanciata negli anni ’90 con l’obiettivo di modernizzare il sistema scolastico italiano, la scuola dell’autonomia si trova oggi al centro di un acceso dibattito. A vent’anni dalla sua introduzione con il D.P.R. 275/1999, molti operatori del settore – docenti in primis – sollevano dubbi sull’efficacia del modello. Tra questi, Libero Tassella, fondatore del gruppo “Scuola Bene Comune”, che denuncia apertamente il fallimento dell’impianto autonomistico, richiamando l’attenzione sull’urgenza di un cambiamento di rotta.

Progetti e frammentazione: le conseguenze dell’iperattivismo scolastico

Uno dei principali punti critici individuati da Tassella riguarda l’eccesso di progettualità nelle scuole. Percorsi trasversali, educazioni parallele e attività extracurricolari rischiano di soffocare la funzione primaria dell’istituzione scolastica: la trasmissione dei saperi. Un’alluvione di progetti spesso autoreferenziali, talvolta scollegati dal curricolo, ha trasformato molte scuole in “progettifici” in competizione tra loro, con il risultato – evidenziato anche da indagini come PISA dell’OCSE – di un abbassamento progressivo del livello di preparazione degli studenti italiani.

Il docente: da burocrate a professionista del sapere

Nel sistema attuale, si tende a valorizzare chi si occupa di attività non direttamente collegate all’insegnamento, a scapito della lezione disciplinare. Tassella propone una visione alternativa: ridare centralità alla figura del docente come “professionista dell’istruzione”, esperto della propria disciplina e capace di trasmettere saperi profondi. Un cambio di paradigma che richiede una riduzione dell’inutile e un rafforzamento dell’essenziale.

Riforme da rivedere: l’autonomia sotto processo

Il quadro normativo che ha sostenuto l’autonomia scolastica – dalla legge 59/1997 al già citato regolamento del 1999 – ha promosso l’idea di scuole “autonome” nella didattica, nell’organizzazione e nella gestione finanziaria. Ma le promesse di maggiore efficacia e responsabilizzazione si sono, secondo molti, tradotte in un aumento della burocrazia e in un indebolimento dell’identità culturale e formativa della scuola statale.

Non si tratta di nostalgie, ma di riflessioni concrete su ciò che oggi non funziona. La crisi della scuola italiana è sotto gli occhi di tutti, e negarlo – come afferma Tassellaè da ipocriti. Per rilanciare davvero il sistema, occorre ripensare l’autonomia, ridurre la dispersione progettuale e restituire piena dignità all’insegnamento disciplinare. La scuola non può essere tutto: deve tornare a essere, innanzitutto, scuola.


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