Il Governo valuta il venerdì libero per gli onorevoli, mentre nella scuola si continua a lavorare con contratti scaduti, stipendi fermi e risorse insufficienti.

La UIL Scuola, unico sindacato a non aver firmato il CCNL 2019-2021, ribadisce la propria posizione e chiede un cambio di rotta vero.

Nel Paese dove la parola “merito” è sbandierata ovunque ma mai applicata, accade che la settimana corta quella che milioni di lavoratori sognano – venga bocciata in Parlamento con disprezzo, mentre nei corridoi di Montecitorio si discute della possibilità di ridurre ulteriormente i giorni lavorativi per gli stessi deputati.

Sì, avete capito bene: il Governo ha detto “no” a una proposta di legge, sostenuta da un’ampia fetta di opinione pubblica, che avrebbe introdotto la settimana lavorativa di quattro giorni a parità di salario. Ma, nello stesso giorno, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, proponeva ai capigruppo lo spostamento delle interpellanze dal venerdì al giovedì. Risultato? Weekend lungo per gli onorevoli. Per tutti gli altri, invece, nessuna tregua.

Non è solo una questione di calendario. È una questione di dignità, di priorità, di credibilità.

Una casta che lavora meno e decide per chi lavora di più

Mentre i lavoratori italiani affrontano orari massacranti, stipendi al limite della sopravvivenza e contratti spesso scaduti da anni, a Montecitorio si valutano “difficoltà logistiche” nel lavorare di venerdì. Nessuno dei gruppi parlamentari ha detto no alla proposta. Si valuterà dopo l’estate. E intanto la Commissione Bilancio, con parere contrario del meloniano Cannata, ha bocciato la proposta di settimana corta per tutti. Il tutto senza nemmeno entrare nel merito dell’articolo 1, che esponeva solo le finalità del provvedimento, senza costi.

Il capogruppo PD Arturo Scotto ha parlato di “motivazioni false”, pretestuose, ideologiche. E come dargli torto? Siamo davanti all’ennesima dimostrazione di un sistema che si protegge, si autoassolve e si arrocca dietro privilegi, lasciando lavoratori e famiglie nell’incertezza, nel disagio, nella stanchezza cronica.

La scuola, terreno dimenticato di una Repubblica smemorata

Il personale docente e ATA lavora in condizioni sempre più difficili, spesso senza strumenti, senza supporto, senza prospettive. Il Contratto Collettivo Nazionale, firmato con due anni di ritardo rispetto al triennio 2019-2021, è già scaduto dal 1° gennaio 2024.

E il rinnovo? Lento, anzi lentissimo. Perché non è considerato prioritario. Perché la scuola, in fondo, è solo una voce di bilancio da limare.

In questo scenario, la UIL Scuola RUA continua a rappresentare un punto di riferimento alternativo e coerente.

Ricordiamo che è stato l’unico sindacato a non firmare il CCNL 2019-2021, ritenendolo inadeguato e insufficiente rispetto alle reali esigenze del personale scolastico, mentre Cgil, Cisl, Anief, Gilda e Snals firmavano senza difficoltà.

Ora sembra che qualcosa stia cambiando nel panorama, addirittura gira voce che qualche sindacato faccia come chi prima fa le leggi e poi propone referendum per abrogarli, e quindi sia pronto a non firmare il futuro contratto ma di questo ne ragioneremo in futuro.

Durante l’Esecutivo Nazionale a Fiuggi, il Segretario Generale Giuseppe D’Aprile invece, ha ribadito la linea del sindacato: «Ci presentiamo a questo appuntamento con ottimi parametri organizzativi: i lavoratori, evidentemente, percepiscono ed apprezzano l’azione di un sindacato libero, laico, riformista, coerente, un’organizzazione in ottima salute che ha operato e opera le scelte giuste».

Non solo difesa, ma proposta: «Questa è l’occasione per effettuare una valutazione complessiva sulla situazione del Paese – che inevitabilmente si ripercuote sulla scuola – per elaborare proposte ed azioni profondamente innovative e per contribuire al rilancio di nuove relazioni sindacali. La vera sfida oggi è continuare a essere un sindacato che lascia il segno».

Chiaro anche il messaggio rivolto alla politica: «Continueremo a difendere la scuola non solo da chi la vuole indebolire ma anche da chi non la conosce eppure pretende di giudicarla. La scuola è una realtà viva, complessa, fatta di impegno e professionalità. Chi vuole parlarne, deve conoscerla».

Quindi si continua su quelle che sono state le parole d’ordine degli ultimi anni, “Rispetto” e “Coerenza”.

Priorità sbagliate: il paradosso delle risorse

C’è poi un punto che va ribadito con forza: i fondi ci sono, ma vengono destinati altrove. Lo dicono i numeri. L’Italia destina oltre il 5% del PIL alla spesa militare. Eppure, si continua a investire meno della media europea in istruzione. Secondo Eurostat, l’Italia spende in istruzione circa il 4% del PIL, contro il 4,8% della media UE.

Non c’è bisogno di altre parole: la scuola italiana viene sistematicamente messa in secondo piano. Eppure è proprio da lì che dovrebbe partire il rilancio del Paeseanche perché ce lo raccontano in tutte le campagne elettorali – dalla conoscenza, dalla formazione, dalla cultura. Non dalle armi e dai privilegi parlamentari.

Una scelta di campo: con la scuola o contro di essa

Questo è il bivio. Continuare su una strada fatta di immobilismo, contraddizioni e autoreferenzialità, oppure scegliere davvero di investire nel futuro. Ma scegliere davvero significa rinnovare i contratti, adeguare gli stipendi, alleggerire i carichi, migliorare gli ambienti di lavoro. Non bastano le parole, servono azioni.

La scuola ha bisogno di rispetto, di attenzione, di coraggio politico. E chi la rappresenta, come la UIL Scuola, continua a chiedere una svolta netta. Non più contratti al ribasso, non più logiche contabili, non più pacche sulle spalle.

Servono scelte, non slogan

Non ci interessa sapere se i parlamentari lavoreranno anche il venerdì. Ci interessa sapere se lo Stato italiano continuerà a trattare i suoi lavoratori come cittadini di serie B e se continuerà a spendere miliardi per la difesa, dimenticando chi ogni giorno difende il Paese educando le future generazioni.

È il momento di smettere di raccontare una scuola che “funziona” a parole e iniziare a costruirne una che funzioni davvero nei fatti. Il cambiamento non passa da slogan, ma da contratti, risorse e rispetto.