Antonio Naddeo, presidente dell’ARAN, lancia un messaggio chiaro: senza accordo entro luglio, gli aumenti salariali per oltre un milione di lavoratori della scuola slitteranno al 2026.
In ballo ci sono 3 miliardi di euro e una trattativa ancora agli esordi. Ma il vero rischio è che la vacanza contrattuale diventi una regola più che un’eccezione.
Un’estate decisiva per il personale scolastico
Il contratto nazionale del comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2022-2024 è a un bivio. A lanciare l’allarme è Antonio Naddeo, presidente dell’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni), intervistato dal giornalista Alex Corlazzoli per Orizzonte Scuola.
Le sue parole non lasciano spazio a interpretazioni: «Non abbiamo la bacchetta magica. Per chiudere una trattativa bisogna essere in due». E se non si firma entro luglio, gli aumenti in busta paga rischiano di arrivare solo nel 2026.
Una prospettiva preoccupante per il milione e oltre di lavoratrici e lavoratori del comparto scuola, tra docenti, personale ATA e dirigenti scolastici. In ballo c’è molto più di una scadenza: si tratta della credibilità della contrattazione pubblica e della tenuta salariale di un’intera categoria.
Le cifre: 3 miliardi per un comparto da 1,3 milioni di dipendenti
Secondo quanto dichiarato da Naddeo, per il contratto in corso (2022-2024) sono stati stanziati circa 3 miliardi di euro. Una cifra rilevante, che però deve essere distribuita su un comparto estremamente vasto: 1.286.000 dipendenti tra scuola, università, ricerca e AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale). A pesare di più, in termini numerici, è certamente la scuola, che da sola rappresenta circa il 70% del comparto.
Una trattativa in alto mare
Al momento, secondo quanto riferito dal presidente dell’ARAN, le riunioni effettive tra le parti sono state solo tre o quattro. Non si è ancora entrati nel merito delle richieste specifiche, anche se le organizzazioni sindacali hanno già sollevato il tema dell’insufficienza delle risorse.
Naddeo non ha nascosto la complessità del confronto, ribadendo che l’ARAN può muoversi solo entro i limiti delle risorse stanziate dalla legge di bilancio. Questo significa che ogni proposta – ad esempio l’introduzione dei buoni pasto – deve trovare copertura economica all’interno del fondo esistente, altrimenti si traduce in un gioco a somma zero: più servizi, meno aumenti salariali.
Buoni pasto: una proposta divisiva
Uno dei punti discussi nell’intervista riguarda proprio l’introduzione dei buoni pasto, una richiesta avanzata da alcuni sindacati per riconoscere il diritto alla mensa anche al personale scolastico. Naddeo è stato chiaro: la norma prevede l’erogazione dei buoni solo in caso di superamento delle 7 ore e 12 minuti giornalieri, un requisito non compatibile con l’orario tipico dei docenti.
Secondo il presidente ARAN, i buoni pasto andrebbero soprattutto a personale ATA e dirigenti scolastici, lasciando i docenti “marginalmente” coinvolti. Una distinzione che rischia di aprire una nuova frattura tra le varie componenti della comunità scolastica.
Il rischio concreto: aumenti nel 2026 e vacanza contrattuale permanente
Il punto forse più critico dell’intervista è l’ammissione di una realtà che i lavoratori conoscono bene: la vacanza contrattuale sta diventando una costante del sistema pubblico. Nata negli anni ’90 per compensare temporaneamente l’assenza di un contratto, oggi sembra aver sostituito la contrattazione vera e propria.
E nonostante gli stanziamenti siano già disponibili (ben 10 miliardi di euro per l’intero pubblico impiego, di cui 3 destinati alla scuola), i dipendenti si trovano ancora a percepire solo l’indennità di vacanza contrattuale, che per molti significa 60-70 euro lordi in più al mese, in attesa di aumenti veri.
Naddeo è consapevole del paradosso: «Più ci sono vacanze contrattuali, meno aumenta la busta paga». Un’affermazione che fa riflettere, soprattutto considerando che i contratti precedenti sono arrivati con ritardi di 3, 4 o persino 8 anni.
Le implicazioni per il personale
Per chi lavora nella scuola, la posta in gioco è alta. Se il contratto non viene firmato entro luglio 2025, le conseguenze saranno tangibili:
Slittamento degli aumenti: gli incrementi salariali previsti non entreranno in busta paga prima del 2026; Perdita di continuità contrattuale: l’occasione di chiudere tre contratti in tre anni (2022-24, poi 2025-27) rischia di sfumare; Indebolimento della contrattazione: con l’indennità di vacanza contrattuale che diventa l’unico strumento di tutela, si svuota di significato la funzione dei tavoli negoziali.
Servono responsabilità e visione
L’intervista di Naddeo, curata da Alex Corlazzoli per Orizzonte Scuola, evidenzia quanto il sistema contrattuale del pubblico impiego – e in particolare della scuola – sia ancora ostaggio di logiche burocratiche, ritardi istituzionali e risorse mal distribuite. La responsabilità del mancato accordo non può ricadere solo sui sindacati: è il sistema a mostrare limiti strutturali.
Per il mondo della scuola, è il momento di pretendere con forza ciò che è dovuto: un contratto dignitoso, tempi certi e riconoscimento del lavoro quotidiano. Non servono bacchette magiche, ma volontà politica, risorse adeguate e rispetto per chi ogni giorno tiene in piedi il sistema educativo del Paese.
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