Il cuore silenzioso della scuola, da invisibili a indispensabili

Dietro ogni campanella che suona, ogni porta che si apre, ogni aula pulita e accogliente, c’è una figura troppo spesso ignorata ma essenziale: il collaboratore scolastico. Un tempo chiamato “bidello”, oggi è molto più di un addetto ai servizi generali: è il cuore silenzioso della scuola italiana, il primo volto che gli alunni incontrano al mattino e l’ultimo a salutarli al termine della giornata.

La sua storia attraversa decenni di cambiamenti, riforme, contratti e mutamenti sociali. È la storia di una categoria che, nel silenzio dei corridoi, ha tenuto insieme le scuole d’Italia mentre tutto intorno cambiava: la politica, l’economia, la società e persino la percezione del lavoro pubblico. Da invisibili a indispensabili, i collaboratori scolastici sono diventati, nel tempo, il simbolo di una scuola che vive non solo di didattica, ma anche di umanità, cura e presenza.

I bidelli di una volta: custodi e testimoni di un’Italia che cambiava

Negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la scuola pubblica era ancora un’istituzione severa e fortemente gerarchica, la figura del “bidello” faceva parte del paesaggio quotidiano. Non era raro che fosse una persona poco istruita — molti avevano la licenza elementare, qualcuno neppure quella — ma rappresentava comunque una figura autorevole all’interno dell’edificio scolastico.

Il bidello era colui che apriva la scuola all’alba, spazzava i corridoi, accendeva la stufa, suonava la campanella. Ma era anche quello che consolava un bambino in lacrime, che sorrideva ai genitori preoccupati, che teneva d’occhio “i più vivaci” e che, in fondo, conosceva ogni segreto della scuola.

La loro saggezza era semplice, pratica, popolare. Erano uomini e donne di poche parole, spesso provenienti dal mondo contadino o operaio, che nella scuola trovavano un approdo stabile, un lavoro sicuro in un’Italia ancora segnata dalla povertà e dall’analfabetismo.

Eppure, in quel ruolo apparentemente marginale, c’era già una forma di educazione informale: una presenza che insegnava rispetto, ordine e solidarietà senza bisogno di un registro o di un programma ministeriale.

Dalla figura popolare al riconoscimento giuridico: la svolta del 1974

La prima svolta normativa arrivò con il D.P.R. 420 del 31 maggio 1974, che introdusse una regolamentazione più precisa per il personale non docente della scuola.
Per la prima volta si riconosceva che la scuola non poteva funzionare solo grazie a insegnanti e dirigenti: c’era un mondo silenzioso di lavoratori che garantiva la quotidianità, la sicurezza e la vivibilità degli ambienti.

Tuttavia, il termine “bidello” rimase in uso ancora per vent’anni, a testimonianza di quanto radicato fosse nell’immaginario collettivo. Solo con il Contratto Collettivo Nazionale del 1994 la figura venne ridefinita con un nome nuovo: collaboratore scolastico.
Quel cambio lessicale segnò una vera rivoluzione culturale. Non si trattava solo di modernizzare il linguaggio, ma di restituire dignità a un lavoro che era sempre stato considerato “di servizio” ma che, nella realtà, aveva molto a che fare con la vita educativa.

La nascita del collaboratore scolastico: tra autonomia e nuove responsabilità

Con l’introduzione dell’autonomia scolastica (D.P.R. 275/1999), il sistema educativo italiano cambiò volto. Ogni scuola divenne un’istituzione con propri spazi di gestione, e il personale ATA — Amministrativo, Tecnico e Ausiliario — divenne parte integrante della comunità scolastica.

Il collaboratore scolastico smise di essere un semplice “custode” e assunse ruoli nuovi: vigilanza sugli alunni, assistenza di base agli studenti con disabilità, supporto ai docenti, gestione della sicurezza e delle emergenze.
Il suo lavoro non era più solo fisico, ma anche relazionale e educativo.
Oggi, infatti, il collaboratore scolastico contribuisce alla formazione civica e al clima educativo dell’istituto tanto quanto chi insegna o dirige.

Come recita il CCNL 2019-2021, firmato nel 2023, “il collaboratore scolastico è parte del processo educativo e contribuisce al benessere degli alunni e al funzionamento dell’istituzione scolastica”. Una frase che sancisce, nero su bianco, ciò che molti già sapevano da anni: senza collaboratori scolastici, la scuola semplicemente non funziona.

Dalla scopa al tablet: formazione, aggiornamento e nuove competenze

Negli anni Duemila, con la digitalizzazione e le nuove norme sulla sicurezza, il collaboratore scolastico è diventato un lavoratore sempre più formato e specializzato.
Oggi è obbligatorio partecipare a corsi di formazione professionale e sicurezza, conoscere i protocolli di emergenza, collaborare con gli insegnanti nel sostegno agli alunni con disabilità e saper gestire situazioni delicate con studenti e famiglie.

Si tratta di competenze che richiedono attenzione, empatia e preparazione, ben lontane dall’immagine del “bidello che spazza i corridoi”.
Molti collaboratori scolastici, inoltre, sono laureati o diplomati, segno dei tempi e di un mercato del lavoro sempre più ingiusto.
C’è chi, dopo anni di studi, si ritrova a lavorare come ATA per mancanza di alternative: un fenomeno che racconta molto della crisi occupazionale italiana e della perdita di mobilità sociale.

Come racconta una collaboratrice di un istituto tecnico di Napoli:

“Quando ho vinto il concorso ATA, avevo una laurea in Lettere. All’inizio mi sentivo fuori posto, poi ho capito che anche da qui posso fare la differenza. I ragazzi ti vedono, ti ascoltano, imparano da come li accogli e da come ti comporti.”

Sono testimonianze che rendono evidente quanto il ruolo del collaboratore scolastico sia diventato anche un luogo di incontro tra generazioni e culture: giovani precari, ex operai, mamme rientrate nel mondo del lavoro, persone con titoli alti ma poche opportunità. Tutti uniti dalla stessa missione: far funzionare la scuola.

Il rapporto con studenti, genitori e personale ATA: un legame invisibile ma essenziale

Il collaboratore scolastico è, spesso, il primo a percepire i disagi di uno studente, le tensioni in un gruppo, le difficoltà di una famiglia.
Nel corridoio, davanti al distributore dell’acqua o all’ingresso della scuola, si consumano conversazioni che non finiscono sui registri ma che valgono più di molte lezioni.

Con i genitori, il collaboratore scolastico mantiene un contatto quotidiano fatto di piccoli gesti: un saluto, una parola di conforto, una spiegazione pratica. È una figura di fiducia, un punto di riferimento che aiuta a costruire un ponte tra famiglia e istituzione.

Con i docenti e il personale amministrativo, invece, il rapporto è di collaborazione costante. Spesso sono proprio i collaboratori scolastici a risolvere problemi pratici, a gestire la logistica, a mantenere l’ordine e la sicurezza. In molti casi suppliscono alla carenza di organico, coprendo turni e mansioni aggiuntive senza un adeguato riconoscimento economico.

Nonostante ciò, continuano a svolgere il loro lavoro con senso del dovere, spesso mossi da un forte legame affettivo con la scuola e con i ragazzi. È questa dimensione umana che li rende davvero il “cuore silenzioso” dell’istituzione scolastica.

La realtà attuale: tra precarietà, stipendi bassi e battaglie sindacali

Oggi i collaboratori scolastici rappresentano circa 200.000 unità del personale scolastico italiano, ma le loro condizioni restano tra le più difficili.
Lo stipendio medio netto si aggira intorno ai 1.100-1.200 euro al mese, una cifra che non riflette le responsabilità e la complessità del ruolo.

Il precariato è ancora diffuso, con migliaia di supplenti annuali che cambiano scuola ogni anno, spesso con ritardi nei pagamenti e contratti part-time involontari.
I sindacati del comparto scuola — tra cui FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola RUA e SNALS — chiedono da tempo una revisione delle tabelle economiche e delle progressioni verticali, per permettere ai collaboratori scolastici di accedere a ruoli superiori senza dover sostenere concorsi esterni o affrontare percorsi troppo selettivi.

Il tema del riconoscimento professionale è centrale: non basta più chiamarli “collaboratori scolastici”, serve un sistema che ne riconosca le competenze, la formazione e la funzione educativa.
Anche perché, dopo la pandemia e le emergenze sanitarie, è diventato chiaro a tutti che senza di loro la scuola non regge. Sono stati loro, in molti casi, ad assicurare l’apertura dei plessi, la sanificazione, la gestione degli accessi e la sicurezza di studenti e docenti.

Dignità e futuro: la sfida di una nuova consapevolezza

La trasformazione da “bidello” a “collaboratore scolastico” non è solo un fatto linguistico o giuridico. È la storia di una dignità riconquistata passo dopo passo, in un contesto sociale che spesso dimentica quanto siano importanti i lavori di cura, di presenza, di relazione.

Il collaboratore scolastico non insegna con un libro, ma con l’esempio: con la pazienza, con l’ascolto, con la cura degli spazi. È lui che trasmette, forse inconsapevolmente, il valore del rispetto e della convivenza civile.
La scuola è un organismo vivo, e i collaboratori scolastici sono le sue vene e i suoi capillari: senza di loro, la macchina si ferma.

Eppure, la società moderna continua a misurare il valore del lavoro in base al titolo o allo stipendio. È qui che nasce la contraddizione più grande: molti di coloro che oggi spazzano i corridoi o vigilano sugli ingressi sono persone istruite, laureate, culturalmente preparate, ma costrette a ruoli sottopagati per la mancanza di alternative.

Questo dato, più di qualsiasi statistica, racconta la crisi del lavoro in Italia: un Paese dove l’istruzione non è più garanzia di emancipazione, ma spesso preludio alla precarietà.

Da invisibili a indispensabili

La storia dei collaboratori scolastici è una parabola di resistenza e dignità.
Dai bidelli analfabeti del dopoguerra ai giovani laureati di oggi, la loro evoluzione racconta l’Italia che cambia, tra speranze e contraddizioni.
Sono stati, e restano, il cuore silenzioso della scuola, quelli che tengono insieme tutto quando sembra crollare.

Oggi la sfida non è solo lessicale o contrattuale, ma culturale: riconoscere che la scuola non è fatta solo di programmi e registri, ma di persone che ogni giorno, con discrezione e umanità, la rendono un luogo vivo, sicuro e accogliente.

La vera rivoluzione sarà compiuta quando dire “collaboratore scolastico” non evocherà più un lavoro di serie B, ma una professione educativa a pieno titolo, degna del rispetto, del salario e della considerazione che merita.
Solo allora potremo dire che la scuola italiana avrà davvero imparato la sua lezione più importante: quella della dignità del lavoro umano.