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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26049 del 24 settembre 2025, ha stabilito che la dichiarazione mendace sul possesso di altri rapporti di lavoro pubblici costituisce giusta causa di licenziamento.
Il caso di una docente che aveva lavorato contemporaneamente all’università e nella scuola pubblica riaccende il dibattito sull’obbligo di veridicità nelle autocertificazioni dei dipendenti pubblici.
La vicenda: due impieghi pubblici e una dichiarazione falsa
Una collaboratrice esperta linguistica, dopo anni di contratti a tempo determinato presso un ateneo, era stata stabilizzata nel 2018 in base al D.Lgs. 75/2017 (la cosiddetta “riforma Madia”). Nella domanda di assunzione aveva dichiarato di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato, nonostante svolgesse contemporaneamente supplenze nella scuola statale.
Quella dichiarazione, resa ai sensi del D.P.R. 445/2000 sull’autocertificazione, si è rivelata decisiva. Non solo perché falsa, ma perché ha permesso alla docente di accedere a una procedura riservata esclusivamente a chi non aveva altri incarichi pubblici.
La posizione dei giudici: la falsità come causa autonoma di licenziamento
La Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello di Bari, ha chiarito che la dichiarazione mendace costituisce giusta causa di licenziamento, anche se non vi fosse una reale incompatibilità normativa tra i due impieghi.
I giudici hanno sottolineato che la falsità “reiterata e consapevole” ha avuto un peso determinante nel percorso di assunzione, alterando i presupposti legali per la stabilizzazione. In altre parole, non è necessario provare un danno economico o un conflitto di orari: basta la violazione della lealtà e della correttezza contrattuale, principi cardine del pubblico impiego.
Autonomia tra procedimento disciplinare e penale
La docente aveva sostenuto che l’ateneo non potesse procedere disciplinarmente prima di una condanna penale definitiva per falsa dichiarazione. La Cassazione ha però ribadito un principio consolidato: l’azione disciplinare è autonoma da quella penale.
Ai sensi dell’articolo 2106 del Codice civile, l’amministrazione può esercitare i propri poteri disciplinari indipendentemente dall’esito del procedimento penale, quando la condotta risulti di per sé grave e lesiva del vincolo fiduciario.
Niente retribuzione e ricorso inammissibile
La Suprema Corte ha inoltre respinto la richiesta della docente di ottenere le retribuzioni arretrate, poiché mancava la prova dell’effettiva attività lavorativa secondo le modalità previste dal contratto. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, chiudendo definitivamente la vicenda.
Il significato della sentenza per il pubblico impiego
La decisione n. 26049/2025 conferma un principio importante: nel settore pubblico la trasparenza e la veridicità delle dichiarazioni rese al momento dell’assunzione sono elementi essenziali del rapporto fiduciario tra lavoratore e amministrazione.
Anche in assenza di una incompatibilità sostanziale, una dichiarazione falsa mina irrimediabilmente quel rapporto di fiducia e può portare alla risoluzione immediata del contratto per giusta causa.
Un monito forte per tutto il personale della scuola e delle pubbliche amministrazioni: l’obbligo di lealtà verso l’ente datore di lavoro è inderogabile, e la falsa autocertificazione – anche se apparentemente “formale” – resta uno degli illeciti più gravi nel pubblico impiego.
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