“Le ricerche non si fanno con Google e IA, ma con le fonti affidabili. E La Bibbia è un testo sacro, ma contiene valori eterni per tutta la nostra civiltà”
Intervista di Simone Frezzato
Nelle ultime due settimane il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha annunciato che per l’anno scolastico 2025-2026 sarà vietato l’utilizzo degli smartphone, i telefoni cellulari, a scuola. A seguito delle reazioni, da una parte, e del provvedimento, dall’altra parte, quali sono le personali valutazioni, Mirko De Carli, portavoce nazionale del Popolo della Famiglia?
Ritengo puntuale e corretto l’intervento del ministro Valditara. Ledistorsioni per l’attività didattica con un utilizzo anomalo e compulsivo dei cellulari e – aggiungerei – dei tablet da parte dei ragazzi sono un pericolo.
Più volte molti opinionisti ed esperti hanno ripetuto che il cellulare debba essere dato in mano ai ragazzi ad un’età per la quale la consapevolezza di che cosa si stia utilizzando e per che cosa si stia utilizzando è tale da poter lasciare loro lo strumento nelle mani.
Quindi io sono pienamente d’accordo con Valditara, perché il suo provvedimento non si pone come un intervento da spot pubblicitario o d’immagine – come alcuni hanno detto – ma è un intervento di sostanza. Oggi educare i ragazzi alla formazione, alla cultura e alla conoscenza non può passare dalla semplificazione sempre più riduttiva – in termini di formazione – e sempre più imprecisa – in termini di conoscenza reale – mediatadagli smartphone e dall’Intelligenza Artificiale.
Non vorrei che il percorso scolastico si riducesse a una ricerca su Gemini di Google per quello che sono le notizie e per il poter rispondere a una domanda di un compito in classe. Preferirei che i ragazzi imparassero a fare una ricerca con le fonti – le famose fonti! – con cui tutti noi [come generazioni precedenti, N.d.R.] siamo stati educati sin da ragazzi, ovvero attraverso documentazioni serie, certificate, storiche, attendibili. Questa è la mia visione e il mio plauso all’iniziativa di Valditara.
Altre questioni inerenti la scuola – sulle quali si è già parlato all’inizio di questo anno 2025 – vertono circa l’introduzione delle lezioni di latino sin dalla scuola media e dello studio della Bibbia sin dalle elementari. Anche qui si profila – potremmo dire – un “ritorno alle origini” tenendo conto di un avanzamento della tecnologia, da una parte, e, dall’altra parte, una riscoperta di valori tradizionali legati sia alle radici con l’Antica Roma sia a quelle successive di matrice giudaico-cristiana? Passando anche dall’importanza di un’opera come l’Odissea nella formazione culturale per i nostri giovani italiani nell’Europa contemporanea…
Io credo che siano tre scelte corrette [quelle di avere a lezione il latino, La Bibbia e l’Odissea sin da giovanissimi, N.d.R.]. Illatino è un aiuto per i più giovani a conoscere le radici dellalingua italiana e, oggi, non si può prendere l’italiano come un artefatto senza storia, senza radici, in termini anche linguistici. Chi utilizza bene la lingua italiana nell’esercizio delle professioni quali giornalista, scrittore o altre non può non conoscere da dove nasce la lingua italiana – che non è altro che un volgare della lingua latina. Non ce lo dobbiamo mai dimenticare, il nostro è un italiano ufficiale “ingentilito di quei panni lavati nell’Arno” su cui anche Alessandro Manzoni fece una revisione nel suo romanzo“I Promessi Sposi” nell’Ottocento. E in questo senso, tutti dobbiamo avere la consapevolezza della nostra storia. Oggi purtroppo leggiamo articoli di giornale spesso sgrammaticati, leggiamo scritti e testi di persone con lauree in Lettere, o di genere affine, che mostrano sintassi totalmente inadatte. E questo fa male a chi – come me – ama la lingua italiana e la ritiene come una sinfonia musicale perfetta, se usata correttamente! Il congiuntivo – lo sappiamo tutti – ormai sta scomparendo nell’uso della lingua nei più giovani. E questo non va bene!
Sulla Bibbia? Ritengo che sia corretto porre l’accetto sulle nostre radici valoriali e sui fondamenti della vita civile del Paese, che troviamo nella nostra Costituzione, richiamandoci a valori eterni che nascono da un testo sacro, ma anche profondamente laico, perché tutti quei valori sono praticati anche da chi non ha la Fede. Non ci vedo nulla di male, ad esempio, nel giuramento sulla Bibbia, come accade in altri Stati molto liberali – come gli Stati Uniti d’America –, da parte del Presidente. In Italia un gesto di questo genere sarebbe visto come qualcosa di dissacrante nella laicità delle istituzioni. Io ritengo un bene che la Bibbia possa tornare a scuola come strumento di conoscenza delle radici e delle origini dei valori di tutti – anche di chi non ha Fede – nella nostra civiltà italiana.
A proposito della questione dell’Odissea, ritengo questo poema un classico della nostra storia e delle nostre radici. Come abbiamo ripetuto più volte, ci siamo battuti – in primis il papa Giovanni Paolo II – sulla vicenda giudaico-cristiana. Quindi la parte greca, da cui nasce la nostra tradizione, non può essere certamente cancellata. Penso che imparare, conoscere e maneggiare con cura un testo come l’Odissea sia qualcosa di corretto.
Arriviamo ai docenti. Ci sono questioni aperte circa i concorsi per insegnare a scuola, l’insegnamento per lungo tempo nella dimensione del precariato e l’assicurazione sanitariaobbligatoria per docenti e ATA. Proprio su quest’ultima – l’assicurazione – il 2 luglio scorso, il Ministro Valditara ha speso alcune parole …
Per quanto riguarda il personale docenti, personalmente so che è in corso una battaglia sindacale molto forte. Molti sindacatichiedono che prima vengano regolarizzati coloro i quali da decenni sono nelle graduatorie e poi si aprano nuove graduatorie.
Io sono d’accordo nella battaglia che seguo da vent’anni – dall’epoca del Ministero dell’Istruzione Gelmini nel Governo Berlusconi – sul tema delle scuole (che giravo ieri e che continuo a girare oggi!) in termini di riforme necessarie nel comparto scuola. Credo che chi abbia responsabilità in materia abbia tra idoveri anche quello di regolarizzare e di sanare le posizioni [ruoli, N.d.R.] di chi da 20-30 anni non è ancora assunto in modo definitivo a livello di docenza. E’ inimmaginabile pensare che docenti supplenti da 30 anni possano trovarsi in competizione con giovani che entrano oggi alle stesse condizioni contrattuali di ieri.
Detto questo, sulla polizza assicurativa credo che oggigiorno nella società attuale sia doveroso garantire la tutela del posto di lavoro a professori, docenti, e personale ATA. Esistono concreti rischi e pericoli nella vita scolastica, vista l’inadeguatezza delle strutture scolastiche, che spesso non sono a norma in termini di sicurezza, igiene e sanità pubblica. Lo dico perché frequento le scuole, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, ma anche in tante parti del nord e del centro del nostro Paese. Però il problema non può ricadere sulle spalle del personale scolastico!
Ad esempio, oggi i liberi professionisti hanno l’obbligo della polizza di responsabilità civile e professionale. Penso ad avvocati e commercialisti, per citare alcune categorie. Io credo che in merito al contenuto di un contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) riguardante docenti e personale ATA debba essere fatta una riflessione corretta e opportuna tale per cui chi è presente all’interno di questo esercizio di carattere professionale abbia – nello Stato – un soggetto che si faccia carico di tutto questo. Quindi si deve apportare una soluzione, ma con polizze stipulate a costi calmierati aventi la completa detraibilità dalla dichiarazione dei redditi, perché deve esserci un vantaggio economico anche per chi le sottoscrive. Altrimenti se devono diventare un costo – anche oneroso – per i lavoratori, è chiaro che l’operazionediventerebbe un’altra ferita inaccettabile, viste le buste paghe esigue.
Qualche giorno fa, il ministro Giuseppe Valditara ha posto la questione della valutazione del biennio negli Istituti Tecnici Superiori (ITS) come equivalente ad una laurea breve. Il suo commento De Carli?
Penso che sia corretto investire sul comparto professionale. E’uno dei temi che mi sta più a cuore e che ho affrontato già dai tempi del Governo Formigoni nella Regione Lombardia. In quella legislatura c’è stato un modello di eccellenza per la valorizzazione degli studi professionali, che – ricordo – non sono di competenza del ministero nello specifico, ma sono di competenza prevalente delle regioni. E quindi credo che, nel 2025, un ministero che vada nella direzione di equiparare una laurea breve a uno studioprofessionale sia un ministero che abbia l’interesse ad orientare i giovani non solo a “studiare per studiare” – che è il grande problema di oggi – con un continuo diplomificio tra diplomi, lauree, master, abilitazioni. Tutte questi attestati e certificazioninon sempre arrivano a dare quello “sfogo” o quel risultato in termini di “sfociare” nel mercato del lavoro soddisfacente per i giovani. Abbiamo plurilaureati che spesso si trovano a fare lavori non coerenti con gli studi intrapresi e con buste paghe ridicole. Invece, dobbiamo creare un mercato tale per cui un giovane avvii un percorso di studi, arrivi a concluderlo e riesca a trovare un lavoro e buste paghe adeguati. Oggi abbiamo bisogno di persone che sappiano fare professioni (elettricisti, elettrauto, tecnici di vario genere), perché la nostra è una società che – grazie a Dio! – cerca determinate figure professionali. La mia domanda di riflessione è questa: “Nella nostra società, è un male se un ragazzo anziché diventare un professore di lettere disoccupato va a fare il tecnico in un settore particolare della metalmeccanica o della metallurgia (con busta paga elevata e con un titolo di studio equiparato a una laurea breve)?” Ritengo tutto il frutto di una distorta mentalità italiana che ha manipolato – diciamo così – il sentimento di riscatto delle generazioni dei nostri nonni e, in particolar modo, dei nostri genitori che non hanno avuto la possibilità di studiare perché usciti dalla guerra o dal post-guerra.Denaro e condizioni base di partenza per proseguire gli studi non erano presenti per larga parte della popolazione più povera. E quindi avevano messo dentro al “calderone” della scala valoriale di noi ragazzi di ieri il fatto di dover per forza laurearsi e studiareall’infinito.
Studiare serve, ma se porta il ragazzo a uno sbocco professionale coerente e all’altezza delle aspettative. Altrimenti “studiare per studiare” non seve a nulla, se non si intraprende il percorso accademico o di docenza.
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